Helmut Krone è il leggendario art director DDB che ha lavorato su AVIS e Volkswagen, creando uno stile completamente nuovo.
Sandra Karl lo intervistò per il numero del settembre 1968 di DDB News. Questa intervista, inedita in Italia, adesso è su Bill 11.
Si considera un perfezionista?
Non mi piace come definizione. Perfezionista è chi rifinisce la parte posteriore di un cassetto, cosa che io considero completamente inutile. Mi concentro molto sulla parte anteriore, ma non sono per nulla interessato alla parte posteriore del cassetto. Sento che c’è una linea immaginaria che deve essere oltrepassata. Non appena mi trovo al di là della linea, mollo. Non mi spingo oltre.
Intende dire che si pone un certo obiettivo, e quando lo raggiunge si ferma?
Sì, così come chiunque altro. Ora, forse per me quella linea si trova in una posizione diversa. Dipende tutto da dove si decide di piazzarla. Per esempio, nella stampa o nella produzione televisiva sento di non essere puntiglioso, malgrado ciò che dice la gente. Se la pagina ha l’effetto che mi aspettavo, non m’interessano le piccole e insignificanti correzioni.
Com’è arrivato a lavorare per Volkswagen quando la DDB ha ottenuto l’incarico?
Mi misero su Volkswagen perché ero l’unico che avesse mai sentito parlare di quell’automobile. Ho avuto una tra le prime VW degli Stati Uniti, probabilmente sono stato fra i primi cento a comprarla, molto prima che iniziassi a lavorare per loro. E, giusto per farle capire quanto una persona si possa sbagliare – e quanto io sia fallibile –, ero assolutamente contro la campagna Volkswagen che avevamo realizzato. Pensavo che la cosa migliore da fare per questa piccola e brutta macchina fosse di renderla più americana possibile, più veloce possibile. Cosa cantava Dinah Shore? “See USA in your Chevrolet”. Io volevo vedere gli USA in una Volkswagen. Con modelle attorno alla macchina e sfarzosità televisive.
Ma è stato proprio con Volkswagen che ha cambiato l’aspetto degli annunci pubblicitari. Ha cambiato il modo di vedere il copy.
Beh, prima mi lasci precisare che, per quanto riguarda Volkswagen, ero talmente convinto che stessimo facendo la cosa sbagliata – malgrado abbia contributo per un terzo al suo successo – che, conclusi i tre annunci, sono andato in vacanza a St. Thomas, depresso, e quando sono tornato, due settimane dopo, ero una star.
Ha detto di aver contribuito per un terzo alla realizzazione della campagna. Non la metà?
Un terzo io, un terzo Bernbach e un terzo Julian Koenig.
Qual era il terzo di Bill Bernbach?
Principalmente frenarmi dal fare altro. Inoltre, l’intero concept del parlare con semplicità, chiarezza e fascino appartiene a lui. Non c’era nulla di nuovo riguardo l’idea della Volkswagen; la cosa innovativa è che noi l’abbiamo applicata a un’automobile. Otto anni prima, Bernbach fece un annuncio per le fragole Fairmont in cui mostrava una fragola in mezzo a una grande pagina; semplicemente una fragola, a grandezza naturale. E la headline recitava: “Sembrava un peccato tagliarla a pezzetti.”
Quello che stavano vendendo erano le uniche fragole congelate intere sul mercato. Il punto era che una fragola deve essere perfetta per essere mantenuta intera. L’annuncio Volkswagen non è molto diverso da quello che fece molto tempo prima. L’unica cosa diversa era la sua applicazione a un’automobile – e questa è una bella differenza. Io ho preso un layout tradizionale, che è sempre esistito: 2/3 immagine, 1/3 copy, tre blocchi con un’headline tra di essi. Ma ho apportato un cambiamento sull’immagine. L’immagine sembrava spoglia, non ricca e abbondante. L’altro piccolo cambiamento era nella parte copy: un Sans Serif piuttosto che uno Serif.
E nessuno l’aveva mai fatto prima?
Non con quel layout, no. Aveva un aspetto editoriale, ma con un carattere Sans Serif.
L’aspetto del copy era molto diverso. L’uso di “righe vedove” cui abbiamo accennato.
Effettivamente ho tagliato quelle “righe vedove” nei primi annunci Volkswagen e ho chiesto a Julian Koenig di scrivere in quel modo. Ho volutamente impedito che i blocchi fossero solidi, e quando avvertivo che una frase poteva essere tagliata a metà suggerivo semplicemente di fare un altro paragrafo. Volevo che la parte copy ricordasse il modo di scrivere di Gertrude Stein. Il layout richiedeva infatti un nuovo stile di copy, che Bernbach in seguito definì “soggetto, verbo, complemento oggetto”.
Intende dire che il layout viene prima dello stile copy? Quest’ultimo è influenzato dal modo in cui apparirebbe su una pagina?
Assolutamente sì. Prima di allora, era compito dell’art director fornire al copywriter delle “righe vedove” da riempire, cosicché potessero avere una pagina pulita. Per quanto riguarda il layout – che io considero un’arte perduta – credo che nessuno oggi sia in cerca di una pagina nuova di zecca, di un nuovo modo di collocare i soliti vecchi elementi, un nuovo modo per rompere quell’area 7×10.
(…)
Le piace il suo lavoro?
Non lo so. Ho degli alti e bassi. La pubblicità è stupida. La pubblicità è grandiosa. La pubblicità è totalmente inutile. La pubblicità è la forma d’arte più vitale dei nostri giorni. Dipende dalla settimana in cui ti trovi. Penso che entrambe le visioni siano corrette. Non ho pianificato la mia esistenza. “Ora farò questa cosa per due anni, quest’altra per tre anni e poi sarò vicepresidente, e via dicendo.” Non ho mai sentito parlare di stock options. Tutto ciò che ho fatto è stato tenere il naso sulla tavoletta. Mi sono fatto il culo. Ho lavorato proprio come hanno fatto mia madre e mio padre. Mio padre era un calzolaio ortopedico e mia madre una sarta in America. Credo che tutto sia successo così. I miei lavoravano duramente. E la gente diceva che erano i migliori.
Il resto è su Bill 11.
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