Enrico Deaglio fu l’ultimo direttore di Enzo Baldoni, il quale era in Irak come inviato di “Diario”. Intervistato su Bill 11 come testimone diretto, rievoca il rapimento, la tragica conclusione e il clima di quei giorni. Compresi certi articoli da tenere bene a mente.
Cominciamo dal 21 agosto di dieci anni fa. Baldoni è in Irak come freelance per voi. Come apprendete la notizia, puoi raccontarci il clima e le reazioni?
C’erano trattative in corso, così ci era stato detto. La Croce Rossa di Maurizio Scelli era sicura di poterlo liberare, la Farnesina era cautamente ottimista. Mi ricordo che ero tornato a casa a Milano e all’una di notte ricevetti una telefonata di Gad Lerner, che era stato chiamato da un giornalista di Al Jazeera, che aveva conosciuto in passato. Gli disse che Baldoni era stato ucciso e che aveva visto la foto del cadavere. Ci trovammo subito tutti alla sede di Diario e ci arrivò la conferma ufficiale.
Nei primi giorni viene accreditata l’idea che Baldoni sia una specie di imprudente turista, e i giornali della destra insistettero su questo aspetto con asprezza inaudita. Renato Farina il 24 agosto su Libero arriva a suggerire che possa trattarsi di una “recita”. Vittorio Feltri, su Libero del 27 agosto, definì Baldoni un bauscia, un giornalista della domenica, uno spottaro, un uomo inebetito dalle ideologie.
Questa, purtroppo, è la parte più brutta – e losca – della storia. Ma devo fare una premessa: Baldoni era un outsider totale, che però con la sua intraprendenza aveva creato un terremoto a Bagdad. Era riuscito a convincere la Croce Rossa Italiana a formare un convoglio per portare aiuti umanitari (medicine e assistenza medica) ai ribelli di Moktada al Sadr assediati dall’esercito americano a Najaf. Una cosa enorme! Pino Scaccia, l’inviato del TG1 lo immortalò mentre sventola una bandiera bianca in mezzo ai combattimenti e fa largo ai medici italiani che curano i feriti. Fu al ritorno da questa missione che venne rapito e ucciso. Naturalmente la Croce Rossa Italiana, il nostro governo, i nostri servizi segreti erano informati, ma – per lavarsene le mani – diffusero la voce del “turista in cerca di emozioni”. Gli articoli di Feltri e di Farina – che, si saprà dopo, era un agente direttamente stipendiato dal Sismi – riletti ora rendono ancora più evidente la loro infamia. E naturalmente danneggiarono enormemente i tentativi di trattativa. Se la Croce Rossa avesse detto ufficialmente: “il signor Baldoni è un nostro collaboratore, lavora sotto le nostre insegne”, se la stampa italiana avesse rilanciato questa verità, sicuramente la sua sorte sarebbe stata altra. Si pensi che nello stesso luogo e negli stessi giorni in cui fu rapito Baldoni, stessa sorte toccò a due giornalisti francesi, Christian Chesnot e Georges Malbrunot. Furono tenuti prigionieri per quattro mesi, tutta la Francia si mobilitò per loro. Quando furono liberati, dissero di aver saputo dell’uccisione di Enzo, avvenuta perché considerata persona con cui non si potevano fare soldi. Anzi, per essere più macabri, i rapitori dissero così: “La Renault va bene, la Fiat è rotta”. Io non so se Feltri e Farina si rendessero conto di quello che stavano facendo. Purtroppo, credo di sì.
Certo, un pubblicitario che fa il corrispondente da teatri di guerra è agli antipodi della loro idea d’industria culturale e anche di pubblicitario. Forse anche in questa diversità radicale c’è la ragione di tanta durezza?
Sicuramente era agli antipodi! Feltri e Farina erano il contrario del giornalismo, erano la “propaganda di guerra”. L’Italia di Berlusconi aveva appoggiato l’invasione irachena e loro ne facevano l’agit prop. Il loro eroe era piuttosto Quattrocchi, un uomo che aveva scelto di fare il mercenario, in una guerra, peraltro, tutta fatta da mercenari. Enzo Baldoni era totalmente al di fuori della loro comprensione. L’idea della libertà di espressione, della curiosità, dell’ansia di sapere, apprendere, vedere e poi comunicare… Tutto questo era ai loro antipodi. La guerra in Iraq, si capiva allora e adesso lo si sa, fu il primo grande disastro del XXI secolo. Costruita sulla manipolazione dell’opinione pubblica, invano avversata dalla stessa opinione pubblica con le più grandi manifestazioni pacifiche della storia; per i giornalisti aveva inventato la categoria degli “embedded”, ovvero persone al seguito delle truppe e sottoposte alla loro gerarchia. Enzo Baldoni era arrivato a Baghdad da solo, con un laptop e una macchina fotografica. In meno di un mese era riuscito a incontrare ribelli, militanti, funzionari, popolo; aveva vissuto nelle case degli iracheni… Era il simbolo vivente del giornalismo e dell’idealismo. Voi mi chiedete: il fatto di essere un pubblicitario…. Che cos’è un pubblicitario? Baldoni era sicuramente un “creativo”, uno che sa cogliere i cambiamenti della società, che la vive con tormento, che vuole capire. Molti anni dopo, quando ho visto Mad Men in televisione, Don Draper mi ha un po’ ricordato Enzo Baldoni.
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Conoscevi la sua attività da pubblicitario? Cosa pensavi di questa sua ecletticità?
Conoscevo qualcosa, ma non tutto. Conoscevo il suo blog, la traduzione di Gary Trudeau. Mi ha fatto molta tenerezza venire a sapere che si era portato, nel suo Mac, a Baghdad, la campagna pubblicitaria che aveva appena finito per una catena di supermercati. E la faceva vedere agli iracheni, chiedeva il loro parere!
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Il resto è su Bill 11.
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