Bill 08 propone un ricco speciale su chiesa e comunicazione all’indomani dell’elezione di Papa Francesco. Eccovi un estratto da un approfondito intervento di Pasquale Barbella sul tema. Il resto è su Bill 08.
Non è facile, per un inesperto di religioni come me, interpretare i dati forniti dall’ultimo Annuarium statisticum ecclesiae, che danno in leggera ma progressiva crescita il numero dei cattolici nel mondo. Questa sezione del censimento si basa infatti sul calcolo dei battesimi, ma non darei affatto per scontata l’equazione tra battezzati e fedeli ortodossi. Si può essere battezzati e discostarsi in vari modi, anche estremi, dalla fede ereditata alla nascita. Di crisi parla apertamente un acuminato saggio di Bruno Ballardini, “Gesù e i saldi di fine stagione”, sul quale ritorneremo in seguito. Ballardini cita, tra l’altro, un sondaggio del 2010 secondo il quale «la fiducia nella Chiesa è arrivata ai minimi storici: per quanto riguarda la piena fiducia dei fedeli verso l’istituzione, si è passati da un 59,2% nel 2000 a un 47,2% nel 2010; dato ancora più significativo è stato espresso riguardo alla fiducia nel papa, dove si è passati da un 77,2% nel 2003, con Wojtyla, a un secco 46% nel 2010, con Ratzinger.» In netto ribasso anche il fronte delle vocazioni, delle ordinazioni sacerdotali, delle suore (indagine Demos&Pi realizzata per “la Repubblica” in collaborazione con LaPolis di Studi Politici e Sociali dell’Università di Urbino, aprile 2010).
Stiamo comunque parlando di numeri da capogiro: dai 1.200 milioni di censiti in su, con incrementi in Africa e Asia e una incerta stabilità in Europa. La quantità, comunque, non è garanzia sufficiente di buona salute: quando mi chiedono come sto, rispondo che sono contento di essere magro perché offro meno corpo ai colpi del nemico. L’ipertrofia ha già esposto e continua a esporre la Chiesa alla moltiplicazione di errori, contraddizioni e lacerazioni interne: basti pensare alla congerie di organizzazioni e lobby (Ballardini le chiama «concorrenza interna»), a volte potentissime, sviluppatesi in seno all’istituzione – Opus Dei, Comunione e Liberazione, Movimento dei Focolari, Legionari di Cristo, etc. La Chiesa non parla con una voce sola, e rischia di essere sopraffatta dalle sue stesse filiazioni.
L’osservatore poco incallito può trarre conclusioni ingannevoli dai due fenomeni che contraddistinguono la comunicazione contemporanea della Chiesa: la prorompente sovraesposizione mediatica a partire dal papato di Karol Wojtyla, e la pronta e sapiente adozione di tutti i nuovi strumenti di comunicazione offerti dallo sviluppo tecnologico. Gli ultimi giorni e le esequie di Giovanni Paolo II ingombrarono i canali tv in modo così esagerato e prolungato da obliterare qualsiasi record precedente. La sua agonia produsse un fenomeno di «accanimento esegetico incentrato sulla sua persona e sulla testimonianza di fede che rendeva a Dio e agli uomini soffrendo in pubblico», per dirla con le parole dello scrittore Antonio Scurati. Nel suo libro “Dal tragico all’osceno. Narrazioni contemporanee del morente” Scurati si sofferma anche sulla contraddizione fra il senso del sacro e la profanazione mediatica: «la smisurata attenzione cresciuta attorno alla lenta morte di un papa, la superfetazione dei discorsi di commento, potrebbero apparire come chiari sintomi di una sovracompensazione nevrotica per la dolorosa mancanza di senso religioso.» Riferendosi anche a un altro supershow, le Giornate mondiali della gioventù (GMG) durante il papato di Benedetto XVI (replicate di recente in Brasile con Francesco I), Ballardini rincara la dose: si tratta di «nuove forme di ibridazione fra media e religione, che possono degenerare e condurre unicamente alla desacralizzazione di quest’ultima».
Il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano dal 2002 al 2011, è stato tra i più fervidi sostenitori della necessità di rinnovamento della comunicazione ecclesiastica, a partire dalle prediche in parrocchia. «Non bastano una bella chiesa, dei ricchi paramenti e un coro intonato per celebrare una buona messa, che riesca a trasmettere alla gente il mistero della fede. Non vi accorgete che le messe domenicali sono sempre meno frequentate? Ci vuole un’alta responsabilità da parte dei nostri preti. I fedeli vanno a messa non per la sontuosità della cerimonia, ma per la capacità del sacerdote di trasmettere cose straordinarie», ebbe a dire in uno dei suoi numerosi interventi sull’argomento.
Nella sola Italia si contano circa 26.000 parrocchie, ma è difficile dire quante di esse siano effettivamente in linea – dal punto di vista dell’aggiornamento tecnologico – con le aspettative più avanzate delle gerarchie, oggi iperattive attraverso tutti i new media. Il viaggio di Papa Bergoglio in Brasile e le contestuali GMG sono stati un megaevento senza risparmio di tweet, dirette streaming, flashmob e quant’altro. Monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, così risponde a chi si domanda come mai anche il SIR, Servizio per l’informazione religiosa, si sia dotato di un canale YouTube: «Al tempo del Web 2.0, le parole non bastano più per restituire a ciascuno di noi la complessità della vita. Oggi la comunicazione, dicono gli esperti, è sempre più interattiva e convergente. Per non parlare dell’esplosione dei social network che, persino senza volerlo, aggiungono informazione a informazione, opinione a opinione. Come lo fanno? Con le parole, sempre importanti, ma anche con le immagini. Con i volti e con i racconti filmati, con i frammenti rubati alla vita di strada e con le fotografie, con le musiche e le narrazioni più originali, dove la fantasia è padrona assoluta del campo. Dinanzi a tanta ricchezza di vita, fede e comunicazione, il SIR non poteva restare a guardare.»
In realtà il cristianesimo ha fondato buona parte della sua cultura anche sulle immagini: si pensi all’architettura religiosa, alla grande pittura, alla scultura. Gli artisti hanno costruito un immaginario del cristianesimo più solido della Chiesa stessa, e certamente più ecumenico: alla borsa valori dell’anima, le azioni di Giotto, Michelangelo e compagni non subiscono nessuna delle flessioni che inquietano le gerarchie religiose, e sono universalmente apprezzate anche da chi cristiano non è. A consultare il portale della Chiesa cattolica ci si rende conto di quanto pressante sia diventata, per i suoi dirigenti, l’urgenza di rendere più attuali i metodi di comunicazione. Ai media generici interessano i conclavi, i viaggi dei pontefici, gli scandali finanziari e sessuali e, come s’è visto, la morte; ma la Chiesa è essa stessa un potente sistema di informazione e si esprime direttamente attraverso una miriade di canali diretti (giornali, riviste, radio, web) e di episodi, spesso indicativi di una entusiastica propensione all’apostolato alla moda. Uno per tutti, scelto a caso: «I frati di Assisi hanno piazzato una webcam sulla tomba del Poverello. In due mesi 18 milioni di contatti da 123 Paesi al sito del Sacro Convento; la maggiore affluenza il 2 e il 3 maggio, quando il Papa si è connesso e ha inviato una preghiera.»
La Chiesa indossa abiti nuovi e qualche volta il cambiamento è benemerito, se è vero che Ratzinger e il suo successore si sono dati e si danno da fare per moralizzare il chiacchieratissimo IOR e ripulire gli apparati da incrostazioni e abusi di varia natura. In più, Papa Francesco ha reintrodotto nei suoi rapporti con l’esterno quel calore umano di cui Benedetto XVI era alquanto carente, e tiene a respingere il più possibile i segni esteriori del potere e i simboli protocollari: francescanamente esalta la povertà e non esita a criticare l’egoismo, la ricchezza, il consumismo. Ma a dispetto di tutto ciò, la sostanza del messaggio centrale della Chiesa resta inflessibilmente immobile. «Se è vero che Francesco ha rivoluzionato molte abitudini vaticane, non tutto è rivoluzionario in questo Papa», scrive Stéphane Le Bars su “Le Monde”. «La sua dottrina globale è identica a quella del suo predecessore, si tratti della morale sessuale, del celibato dei preti, del ruolo delle donne, delle questioni etiche e bioetiche.»
Il resto è su Bill 08.
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