Dopo lo speciale sulla Benetton Story (su Bill 2), Bill racconta un’altra grande avventura di comunicazione: quella della Olivetti di Adriano. A partire da un brano del 1939 di Elio Vittorini, che chiarisce quale fosse la loro idea di pubblicità. Eccone un brano.
A lungo si è creduto che la pubblicità fosse da esercitare secondo modi dalla sua stessa natura suggeriti.
Da che cosa nasce la pubblicità? Da bisogno, sentimento o calcolo di autoaffermazione. Ed ecco, per secoli, gli uomini abbandonarsi al bisogno, al sentimento, al calcolo con un risultato di autoaffermazione bruta. Il problema degli scopi da raggiungere, conquistare proseliti, conquistar clienti, è stato risolto unicamente per via di valori quantitativi. Trattandosi di gridare, la gara è stata a chi gridava più forte, a chi gridava con più insistenza, a chi gridava più di continuo. E i più violenti sono stati i più bravi: hanno rapito il regno dei cieli.
Però col tempo, questa pubblicità autoritaria incontra i pericoli che l’assoluto quantitativo finisce sempre per incontrare. Incontra l’indifferenza umana. E allora? Allora bisogna fare quello che si sarebbe dovuto fare fin dal principio. Bisogna rendere qualitativo il fatto quantitativo. L’uomo è qualità. E se un atto di forza vuol essere veramente vitale bisogna che impegni l’uomo in umanità, in qualità. Per questo di parla oggi in America di umanismo pubblicitario. Nessuno, naturalmente, dice che la pubblicità non debba più essere affermazione. Il problema è che sia affermazione essendo un’altra cosa, essendo una cosa qualitativa, qualificandosi. Deve insomma avere un’altra ragione di esistere, che la faccia esistere di per se stessa innanzi all’uomo. (…)
Il resto del brano di Vittorini (e dello speciale sulla Olivetti di Adriano) sono su Bill 03.
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