Marco Carnevale – autore di un lungo articolo sui trent’anni BBH in Bill 03 – commenta la notizia di pochi giorni fa: il gruppo Publicis ha comprato il 100% della BBH.
Se la notizia dell’acquisizione del 100% di BBH da parte del gruppo Publicis fosse arrivata un po’ prima con ogni probabilità la celebrazione del trentennale dell’agenzia di Sir John Hegarty da parte della comunità creativa sarebbe stata velata da più che un filo di malinconia. Invece è arrivata solo adesso, e per di più in contemporanea con l’uscita del terzo numero di Bill che ospita – fra gli altri – un mio pezzo dedicato proprio a questo importante (e ora anche decisivo) anniversario.
La coincidenza è sgradevole. Ma ciò che ho scritto – e anche ciò che non ho avuto bisogno di scrivere perché è sgocciolato dritto fra le righe del mio pezzo senza passare dal filtro – lo riscriverei daccapo, e anzi con la doppia motivazione di fissare una storia e un esempio che a partire da oggi rischiano di appannarsi, snaturarsi e forse a lungo andare di dissolversi.
Intendiamoci, non c’è nulla di male nel fatto che una holding finanziariamente molto potente acquisti una delle più blasonate punte d’eccellenza operanti nello scenario della comunicazione globale. Ma c’è qualcosa di perverso e di maniacale nel fatto che uno dei più grandi (e dei meno vivaci) network mondiali – dimostratosi manifestamente incapace non dico di orientare la propria struttura all’eccellenza creativa ma anche solo e semplicemente di includere fra i suoi obiettivi la qualità dell’output creativo – continui a illudersi di poter elevare la propria reputazione creativa comprando, omologando e infine neutralizzando quella altrui. È già successo con Fallon. è già successo con Saatchi & Saatchi. E ora anche per la pecora nera di BBH si prepara un bel bagno in candeggina.
Guido Cornara mi ha scritto stamane esprimendo lo stesso punto di vista, e invitandomi a leggere il trionfale annuncio (quantomai fuori tono nel contesto specifico) pubblicato dai nuovi padroni sulla home page del sito BBH. L’ho fatto: fatelo anche voi. Leggete almeno fino al punto in cui si afferma che l’operazione non può che avere esito positivo in quanto il posizionamento originario di BBH – tanto bene riassunto dal suo simbolo – sarà protetto nientemeno che dal pretestuoso, sciatto e inerte motto sbandierato in tutto il pianeta da Publicis a giustificazione del proprio shopping compulsivo.
Forse proverete anche voi ciò che ho provato io: la sensazione nettissima che lor signori siano davvero convinti che “Viva la difference!” non sia in fondo che un modo più ecumenico e perciò più diretto e perciò più efficace di dire “When the world zigs, zag”.
Quanto a noi, teniamoci stretta la convinzione opposta; in cui si possono riassumere le principali ragioni del nostro mestiere e allo stesso tempo le più robuste speranze di difenderlo dal piano inclinato su cui è stato trascinato a forza. Tanto loro hanno comprato solo la BBH che era in vendita. L’altra, quella vera, resta tutta nostra.
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