In questo periodo sono spesso in macchina, quindi ascolto spesso la radio. Quindi mi capita anche di ascoltare molta pubblicità alla radio. (Anche se, lo confesso, non è che io ascolti la radio per sentire la pubblicità. Più che altro ascolto Il ruggito del coniglio, o 610, o Caterpillar. Ma insomma, sto guidando e mi tocca ascoltarla). Devo dire però che ultimamente mi sto facendo un sacco di risate, al punto che quasi gli intermezzi pubblicitari gareggiano in umorismo (temo involontario) con il gran capo Estiquaatsi.
Il motivo ultimo di questo inaspettato divertimento è semplice, a mio parere: credo che qualcuno recentemente abbia sparso la voce nelle agenzie di pubblicità italiane che adesso va di moda il marketing conversazionale; che i consumatori vanno ingaggiati in conversazioni il più possibile intime; che i marchi, i brand, i prodotti devono entrare con il pubblico in una relazione di complicità, come se fossero persone che parlano con altre persone.
Mumble mumble, allora cosa si fa? Ovvio, si fa quello che sempre si fa quando si applicano meccanicamente regole imposte, o quando si seguono le mode del momento senza capirne esattamente le implicazioni, il senso profondo, o più semplicemente i motivi per i quali si fa quello che si fa.
Cioè, lo si fa in maniera stupida e superficiale. E il risultato non può essere altro che stupido e superficiale. Se le marche devono conversare con i consumatori, come una persona che parla a un’altra persona in modo amichevole e intimo, ecco allora che il modo migliore (si saranno detti in qualche brainstorming in qualche agenzia) è mettere in scena, letteralmente, l’impersonificazione.
Quindi eccoci esposti, da un giorno all’altro, a un tripudio logorroico di supermercati che parlano, biscotti che parlano, sentimenti che parlano, smartphone che parlano (e questo, con un po’ di fantasia, ci potrebbe anche stare) in una progressione geometrica di insensatezza che “L’aereo più pazzo del mondo” in confronto sembra un film sensato e tranquillo, quasi noioso.
I primi esempi che mi vengono in mente:
“Ciao, sono il tuo supermercato Conad.”
“Ciao, sono la noia.”
“Ciao, io sono l’energia verde.”
“Ciao, sono lo smartphone di Lucia.”
“Buongiorno, sono Oro Saiwa.”
Naturalmente, se ciò fosse accompagnato da qualche barlume di idea, quand’anche fosse un’idea di posizionamento, potrebbe avere anche un senso (vedi biscotto di droga5 per Kraft) ma qui l’idea (l’unica, misera penosa idea) sembra essere proprio quella: “Dai, raga, ideona, facciamo parlare il supermercato in prima persona, fighissimo.” (Chi avrebbe mai potuto pensare che un’idea così rivoluzionaria e originale potesse venire in mente contemporaneamente a una serie di agenzie, generando un effetto comico straordinario? Disdetta).
Ora, cosa ci raccontano il supermercato, lo smartphone, il biscotto, o la noia? Cos’hanno di così urgente da comunicarci che giustifichi lo sforzo immane di abbandonare per un attimo la loro natura di entità inanimate per cominciare a parlare in prima persona? Diciamo, per metterci la faccia?
Purtroppo la risposta a questa domanda è: assolutamente niente. Infatti, non avendo niente di interessante da dire, snocciolano le stesse pallosissime banalità che raccontavano prima. Solo che ce le raccontano in prima persona. Estiquaatsi. Tanto valeva lasciar riposare il supermercato Conad tra le sue casse e i suoi scaffali e continuare a parlare di lui in terza persona.
Per finire, dal momento che immagino che qualche agenzia sarà rimasta piuttosto delusa di non essere presente con qualche oggetto parlante a celebrare questo nuovo trend, vorrei essere di aiuto dando alcuni suggerimenti gratuiti su alcune entità da coinvolgere in conversazioni con i consumatori, e sui modi per farlo.
1) Ciao, sono la tua affezionata ragade anale, che non ti lascerebbe mai per nessun motivo al mondo. Ma oggi, purtroppo, è arrivato il momento di lasciarci. (Per una crema contro le emorroidi).
2) Ciao, sono la tua auto XXXX, e purtroppo devo avvertirti che tra qualche secondo salterò in aria per cui ti consiglio di buttarti fuori al più presto. (Questo è un piccolo ma divertente scherzetto, che qualunque brand di auto YYYY potrebbe fare ai danni del concorrente brand XXXX).
3) Ciao sono il terremoto, mi dispiace aver prodotto tutti quei danni, io avrei voluto spostarmi da un’altra parte, ma appena cercavo di muovermi, quella terrona della faglia africana mi spingeva indietro, e quindi eccomi qui.
4) Last but not least: Ciao, sono il tuo cervello, scusa se mi sono assentato un attimo, adesso sono tornato e possiamo farla finita con tutte queste stupidaggini e ricominciare a lavorare insieme, tu ed io, con un po’ di serietà.
Tag: Advertising, Guido cornara, pubblicità, radio
bravo guido. aggiungerei una postilla, ossia un piccolo post femmina, su alcuni terribili radio redazionali ascoltati su radio24. se lo scrivo ti dico.
Ciao Armando, grazie. Mi incuriosiscono questi radio redazionali su Radio24. Come si fa a sentirli?