Ha appena vinto il Gran Prix a Cannes con “Unhate”. Su Bill n.2 trovate la Benetton Story, per capire da dove arriva e dove andrà uno dei pochi marchi italiani capaci di comunicare in modo globale. Con interventi di Renzo di Renzo (già direttore creativo Fabrica), Andrea Masciullo e Pasquale Barbella.
Eccovi qualche estratto dal saggio di Pasquale Barbella.
“28 anni di colori Benetton, centinaia di annunci sotto il naso per non contare i progetti d’azione, il magazine, la fondazione, l’attività sul web. Si può dare un giudizio complessivo su tutto questo? L’evidenza ci dice che esiste una solida unità concettuale a collegare le tessere del puzzle, anche se una parte di esse si distingue dalle altre per un “estremismo creativo” catalizzatore di polemiche. Ma se indubbiamente esagerate – e variamente criticabili – sono certe strade intraprese dalla missione “colori uniti”, non si può negare che il contrattacco degli oppositori sia stato e continui ad essere animato da una ferocia non sempre giustificata. L’accusa più iniqua sta nel fare di tutt’erba un fascio; sono in molti a condannare in blocco una case history che, per quanto mi riguarda, ritengo degna di analisi più attente e, lasciatemelo dire, più razionali (per fortuna non ne mancano di lucide, a cura di osservatori e accademici di vari paesi)”.
“Personalmente mi sento offeso e disgustato da centinaia di campagne pubblicitarie assolutamente inattaccabili da qualsiasi giurì, conformi alle normative scritte e non scritte, aderenti al sentire comune, ma indecenti per intrinseca volgarità; pubblicità che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, soprattutto televisive, con martellanti e sorridenti balordaggini su pance gonfie, ascensori puzzolenti d’urina, automobili rifiutate perché costano poco, gocce d’aceto da leccare sull’erba del prato, istigazioni al gratta e vinci e altri giochi similmente alienanti… Io mi interrogo sull’appropriatezza degli annunci Benetton più contestati, ma anche su quella di annunci che la maggior parte delle persone tende a giudicare innocui. Come professionista eviterei di fare gli uni e gli altri: i primi per rispettare il sentimento comune, gli altri per rispettare un’idea di decenza e dignità forse più sottile ma costantemente pericolante. Il mio cuore, comunque, sta dalla parte dei primi”.
Il resto – non poco – è su BIl 02.
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