Stefano Campora introduce gli indimenticabili Calvin & Hobbes. Il grande autore Bill Watterson non ne fece mai personaggi di merchandising, anzi nelle sue strisce fu spesso molto sarcastico nei confronti di marketing e adv. Su Bill 11 qualche esempio, per gentile concessione di Franco Cosimo Panini Editore.
La stagione magica di Calvin & Hobbes è durata dieci anni, dal 1985 al 1995, e per tutto questo tempo, il suo creatore, Bill Watterson, ha sempre rifiutato di prestare i suoi personaggi alla pubblicità e al merchandising in generale. Poteva guadagnare milioni di dollari senza fare niente e invece ha sempre e solamente detto “no” perché per lui e per il suo lavoro sarebbe stato svilente. Era molto serio quando parlava di fumetti, li considerava una forma d’arte e non solo “popolare”. Se qualcuno di voi ricorda la straordinaria diffusione dell’immagine di Calvin che fa la pipì, beh, sappia che non è stato certo Watterson ad autorizzarla, anzi, lui ha provato a impedirne la circolazione per vie legali ma l’hanno fregato, modificando un po’ i tratti del protagonista.
“Il mondo dei comics è più fragile di quanto si pensi. Una volta che hai venduto la sua integrità, non puoi più tornare indietro. Questa arte non deve scendere ai livelli più bassi dell’intelligenza e del gusto. Devi chiederti se c’è qualcosa che possa giustificarlo e io ancora non l’ho trovato”. Sappiamo anche che Bill aveva criticato Jim Davies per aver mercificato il suo Garfield, impoverendone il valore artistico e, di sicuro, pur essendo amico di Schulz, non approvava il disinvolto uso commerciale di Snoopy e co.
Bill Watterson ha rappresentato la figura del cartoonist incapace di scendere a compromessi con il mercato, uno che litigava con gli editori perché riteneva che lo spazio tradizionalmente concesso dai quotidiani alle strisce, limitasse la sua libertà d’espressione. Uno che, all’apice del successo, quando ormai Calvin & Hobbes venivano pubblicati su 2400 diverse testate in tutto il mondo, scrisse alla Universal Press Syndicate poche righe per dire okay ragazzi, è stato bello ma adesso non saprei che altro inventarmi, per cui vi saluto, vi ringrazio e non cercatemi più. E così fece. Adesso Bill, con sua moglie, vive a Chagrin falls, nel nord dell’Ohio, non risponde alle lettere dei fans, non concede interviste né tantomeno autografi. Dipinge. E si gode la vita come può. Come ha sempre deciso di fare.
Calvin, per chi ancora non lo conoscesse, è un bambino di sei anni dotato di un’immaginazione tanto grande quanto pericolosa. Passa il 70% del suo tempo immerso nei suoi sogni, in compagnia del suo tigrotto Hobbes, un pupazzo che, quando gli adulti non guardano, diventa una tigre vera. A differenza del Little Nemo di Winsor McCay, che riesce a tenere distinti i momenti di sonno e veglia, Calvin riversa costantemente il contenuto dei suoi sogni nella realtà, cercando di farli convivere su un piano unico, con risultati devastanti per lui e per gli altri. Il rapporto fra Calvin e Hobbes e più in generale fra Calvin e il mondo reale, è una riflessione sul potere dell’immaginazione e sul potere similare ma opposto della mancanza di immaginazione.
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Il resto è su Bill 11.